La vera storia di Cola Pesce

di Flavio Minelli

Una volta, tanto tempo fa, prima di internet, prima della televisione e
della radio, perfino prima dei libri stampati e dei giornali, le storie e le
notizie le raccontavano i cantastorie. Questi uomini in continuo movimento
tra paesi e città raccoglievano i racconti della tradizione e le novità e le
andavano riportando nei paesi vicini, spesso arricchendole artisticamente
con dettagli non proprio fedeli all’originale.
La storia di Cola Pesce era una di quelle preferite dai cantastorie siciliani, ne esistono decine di versioni, tutte diverse, e si raccontava perfino
in Campania. Oggi che i cantastorie non ci sono più tutte queste storie si trovano nei libri che raccolgono fiabe e leggende d’Italia e se siete curiosi
potete andare a leggervele. Io vi voglio invece raccontare la vera storia di Cola, una volta che tutti gli abbellimenti artistici e i riferimenti a personaggi storici, re e regine, siano stati rimossi: la storia di un ragazzo come tanti ma con una particolarità che lo rese unico e lo fece diventare una leggenda.

UN BIMBO SPECIALE
Dunque, c’era una volta una coppia di umili siciliani che viveva nei pressi
dello stretto di Messina. Antonio era pescatore e Santina, come tutte le sua
amiche e conoscenti, curava la casa, cresceva la famiglia e coltivava un po’
di orto con cui integrare il frutto del lavoro del marito. Avevano già altri
figli, maschi e femmine, quando in una limpida e fredda giornata d’autunno
nacque Nicola, con la camicia. Non intendo dire che nacque
particolarmente fortunato, anche se alla fine qualcuno potrà pensare che
tutto sommato fu così, ma proprio che venne al mondo con il corpo
ricoperto da una specie di materiale giallino, elastico e un po’ appiccicoso,
che nel giro di qualche giorno si asciugò e sparì.
Allora non c’erano certo ospedali e cliniche e i pochi medici, dalle
scarse conoscenze, si trovavano solo al servizio dei ricchi e dei potenti. I
figli del popolo nascevano in casa, dove la partoriente era assistita dalle sue
vicine o amiche e in particolare da una anziana che rivestiva nella zona il
ruolo di levatrice o, come la chiamavano da quelle parti, “mammana” La
donna che assisteva Santina, visto il bambino appena nato, si affrettò a
pronunciare parole di sorpresa e di gioia, assicurando alla madre che la
presenza di questa “camicia” era un fatto sorprendente e meraviglioso, che
assicurava al maschietto un futuro di fortuna e di felicità, ma il suo sguardo
diceva altro. Comunque si affrettò a fare quel che doveva, lasciano poi il
bimbo nelle braccia della mamma, e questa alle cure delle sue amiche.
Quando, dopo pochi giorni, la “camicia” sparì Mamma Santina si
accorse subito che c’era qualcosa che non andava: il bimbo aveva la pelle
secca e spessa, faceva fatica a prendere il latte perché le sue labbra
sembravano non riuscire a chiudersi bene, così come gli occhi che
restavano sempre un po’ aperti, anche mentre dormiva. La povera donna
era sola, Antonio era in mare, e lei aveva paura che le vicine potessero pensare
che un bambino così strano fosse frutto di qualche maledizione, di
un peccato dei suoi genitori o perfino di una sua innaturale infedeltà.
D’altra parte a quei tempi le cose andavano così, nessuno dei suoi ……………..

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